Venerdì per il clima e fuori-tutto
Intro
I nomi hanno la pessima abitudine di innescare emozioni: sono direzioni, coordinate, immagini precise che entrano frontali nelle fantasie di chi le vive. Vale per i nomi propri, ma vale anche per i nomi di eventi o movimenti. E basta che due di questi si incontrino perché si scateni una meravigliosa guerra tra universi.
Immagine Insta-ntanea
Siamo nel centro di una grande città italiana. Un’orda di ragazzi invade strade e porticati. Gridano al futuro. Sono vagamente incazzati e euforici. Affianco scivolano colonne di persone cariche di sacchetti di marca. Due o tre per mano. Si guardano attorno spaventate. Pensano che l’orda ce l’abbia con loro. Ma è evidente, che no, non ce l’hanno affatto con loro. È solo che quel giorno ha due nomi.
Black Friday
È un venerdì, il quarto del mese di novembre, e per le aziende che si occupano di retail (vendita al dettaglio) è un momento piuttosto importante: è il giorno delle promozioni selvagge (wow!). In pratica per 24 ore i magazzini scarrellano sui consumatori tutto l’invenduto o le novità a prezzi più o meno stracciati, -con risultati alterni dal 2013-.
Quindi a sentirne il nome, i primi due concetti con cui si ha a che fare sono opportunità e caos, mentre l’universo di riferimento sono i negozi. Ma allora perchè questo venerdì si chiama così e non «fuoritutto»? Ci sono almeno due storie diverse.
Storia 1
Al quarto Friday di novembre – che ancora non era black- pare che nelle strade di Filadelfia la folla abbia congestionato il traffico, e che le macchine impantanate nelle strade abbiano sollevato una mostruosa nuvola di smog, da fare invidia alle peggiori giornate di Torino. Da qui il nickname «black».
Storia 2
Pare che negli antichi libri contabili dei commercianti americani ci fosse l’abitudine di segnare in rosso tutte le voci di spesa e in nero quelle di guadagno. L’usanza in effetti era diffusa anche in alcuni antichi registri veneziani, oltre che olandesi; e in questo caso il black che precede Friday indicherebbe “il giorno dei grandi guadagni”, quello in cui si passa dal rosso delle perdite al nero dell’incasso.

Friday For Future
A sentire questo nome invece si attivano i due concetti di attivismo e clima. A tenerli assieme una particolare idea: la necessità. La tesi sostenuta dal movimento di Greta Thunberg, infatti -riassunta in breve- è anche quella espressa dal titolo del suo libro nella versione italiana: «La nostra casa è in fiamme». Dove casa sta per pianeta, e la chiamata alla necessità di fare qualcosa per rimediare è piuttosto chiara.
E il nome del movimento?
Qui il discorso è parecchio interessante. Molte voci ci sono sollevate contro gli studenti che aderiscono alla manifestazione, i cosiddetti “gretini”, -gioco di parole non troppo riuscito, ammettiamolo-. Una delle critiche che più ritorna è quella della scelta del giorno. Il venerdì come giornata per gli scioperi sarebbe infatti soltanto una scusa per allungarsi il weekend.
In realtà però la scelta del giorno non è affatto arbitraria e nasce da un episodio preciso: il 7 Settembre 2018 Greta ha dichiarato di continuare a scioperare dalla scuola, fin quando il nuovo governo svedese non si fosse allineato con l’accordo di Parigi, e quel giorno era in effetti un venerdì.

Conclusioni e collisioni mancate
Torniamo all’immagine delle due orde che si incontrano, una coi cartelli e l’altra coi sacchetti.
Siamo di fronte ad un meraviglioso cortocircuito. Due mondi si incontrano per le strade: l’opportunità e la necessità, e -meraviglia delle meraviglie- non succede assolutamente nulla. È come se dieci anni fa Berlusconi e la Bonino si fossero incrociati in un supermercato e passando tra scaffale e scaffale, non ne avessero approfittato per dirsi qualcosa.
Chiariamoci: il contrasto ideologico è talmente evidente che forse non si è avvertita la necessità di rincarare la dose con ulteriori interventi; però ecco siamo di fronte ad una palese collisione mancata.
Provocazioni e sconti
E quindi eccoci con un piccolo elenco di scenari che sarebbero stati sicuramente più interessanti:
- I negozi avrebbero potuto dare risalto a tutti i loro prodotti più green.
- I “gretini” avrebbero potuto esibire slogan del tipo: “il pianeta non è in saldo”.
- Di comune accordo si sarebbe potuto organizzare una sorta di mercato delle permute. I magazzini avrebbero raccolto prodotti da smaltire e solo in cambio di un altro prodotto “esausto” avrebbero effettuato sconti su quelli nuovi.
- Deriva trash. Qualche grande store di elettronica avrebbe potuto lanciare una campagna del tipo: «già che la fine del mondo è imminente smettiamo di buttare via il tempo a lavare piatti: compriamoci una lavastoviglie».
- Trump avrebbe potuto piantare un albero nei giardini della Casa Bianca, con una vanga meccanica acquistata in saldo al 70% su Verizon.